LE LAME MILITARI D'ORDINANZA PARAMILITARI 
COMMEMORATIVE  
SURVIVAL
 

 


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Le lame in genere hanno un fascino particolare che affonda le sue radici, credo, nell’arcano primordiale di una specie praticamente indifesa e soggetta a temibili predatori fra cui, non ultimi, altri conspecifici.
L’arma da pugno é stata certamente il primo prolungamento fisico del proprio Io, immediatamente integrato dal contenuto spirituale.
Non a caso infatti l’arma personale veniva inumata con l’individuo.
A certificare la sacralità dell’arma stanno i miti antichi e medioevali, la filosofia dei Samurai etc.

Per me la sacralità dell’arma sta nella sofferenza di chi ha dovuto portarla ed usarla per fini che travalicavano il proprio io, aldilà della immediata e furiosa esigenza di sopravvivere.

    Questo, a mio avviso, è l’unico modo legittimo per trattare ed accostarsi all'arma da guerra. Ed è con questo spirito che vi presento il mio catalogo.    
     

 

PENSIERINO  

     

A me fa oltremodo girare le palle la gran fanfara degli americani e dei loro commemorativi come se gli unici eroi fossero tutti i loro, per il solo fatto che hanno vinto la I e la II Guerra Mondiale.
Bene, hanno vinto solo perché erano più tanti ed avevano un mare di mezzi bellici con cui hanno travolto tutto e tutti.
I veri eroi erano piuttosto dall’altra parte ed hanno combattuto, praticamente senza più mezzi, con tale accanimento e senso dell’onore militare e personale da resistere, senza alcuna speranza, fino all'annientamento, contro una valanga di Ferro e Fuoco di smisurate proporzioni in qualità e quantità.
Di fatti in Viet-Nam, dove non hanno potuto usare totalmente lo strapotere di tutte le loro armi perché la panzana della libertà non se la beveva più nessuno, sono stati miserevolmente buttati in mare. Gli eroi americani che ricordo volentieri sono i Sudisti nella Guerra di Secessione.  Sarà che a me piace stare dalla parte di chi perde? (po' di gusti del cavolo che mi ritrovo!)  

 

 

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Il 1876 fu un anno memorabile, si celebrava il primo centenario dell’indipendenza, A.G. Bell inventava il telefono, il colonnello Custer ed i suoi uomini del 7°cavalleria venivano trucidati a Little Big Horn e Mark Twain pubblicava “Tom Sawyer”.

 E poi un piccolissimo evento di nessuna importanza “storica” ma importante per noi; un certo signor Adolph Kastor fondava una hardware company (ferramenta ?!), il cui successo commerciale esplose al tempo della prima guerra mondiale. Difatti la Kastor’s Company si trovò compartecipe di una delle più grandi fabbriche di coltelli del mondo con una produzione di oltre un milione di pezzi all’anno.

Oggi questa company, la Camillus Cutlery, con i suoi 115 anni di storia ininterrotta è il più antico fabbricante di coltelli degli Usa, e la discendenza di mister Kastor continua a costruire una ineguagliata tradizione, coltello dopo coltello. Alla Camillus sono orgogliosi della loro storia di tutto rispetto, dei bei coltelli fabbricati per cacciatori, sportivi, collezionisti e per le forze armate Usa, inglesi e canadesi. Sono poi orgogliosi di cento altre cose.  Vale però la pena di ricordare che alla Camillus, negli ultimi anni hanno collezionato più nuovi brevetti industriali di tutti gli altri fabbricanti di coltelli Usa messi insieme!
Che come record non è male.
Quindi la migliore tradizione è garantita da un continuo aggiornamento tecnologico che garantisce ai suoi clienti la “top quality 100% american made knives”.

     
   

Vidi il primo Camillus, mi pare nel 1973.  

     

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Lo aveva comperato mio fratello Filippo da un armiere (uno dei nostri primissimi clienti). Era il “Trail Blazer”, mi parve stupendo nelle sue linee essenziali con tutto il metallo bianco e l’impugnatura a dischi di cuoio. Troppo bello, dovevamo venderlo anche noi. E così fu. Feci così la conoscenza del “Combat Marine” originale, da cui la Camillus ha ricavato il Trail Blazer che ne è la versione civile. Finalmente nel 1975 importavo direttamente i miei primi Camillus, tenni un Combat Marine per me. Rimasi affascinato dalla assoluta essenziale spartana efficienza unita ad una grinta di sicuro effetto. E ancora nel mio sacco, duramente provato da un uso pesantissimo; ed a volte è servito a convincere qualche cliente titubante raccontandone le vicissitudini.

Niente di particolarmente ardimentoso, naturalmente. Non pensate a feroci sbarchi né a raids in Amazzonia o cose simili. Mi ha soltanto accompagnato in montagna tagliando legna e scatolette, è stato affilato sui sassi, ma ha avuto vita molto dura quando mi sono accanito ad imparare a lanciarlo. Quella del lancio del coltello è sempre stata una mania.

Mi insegnò i rudimenti un amico con un cacciavite, continuai a casa con i coltelli da cucina di mia madre (suscitandone le più funeste ire), quindi arrivai al Combat Marine. In casa della mia ex moglie c’era una rimessa lunga circa otto metri ed un giardino, nell’intervallo di colazione divennero il mio “poligono”. Una bella tavola contro il muro di fondo, un bersaglio da 25 cm di diametro e via: da due metri, poi da quattro e così via fino a otto. Prima di ottenere dei risultati soddisfacenti avevo pressoché demolito il muro, piegato centinaia di volte il manico ed il guardamano; tira e molla raddrizzavo tutto fino a che il manico non si spezzava o si staccava il terminale metallico. Interveniva allora Michele, il magazziniere: una saldatina e via!
ll mio Combat Marine è diventato un poco più corto della misura originale ed ha una vaga linea serpeggiante. Ma non avete idea delle botte che prendeva. Non avevo in mente un lancio accademico ma “combat” con tutta la forza che potevo metterci dentro, a volte restava infisso alla tavola con il solo guardamano, e quando arrivava di manico secco lasciava dei tondi profondamente impressi:
l’effetto balistico terminale sarebbe stato sicuramente efficace!
L’attività continuava in montagna contro i ceppi degli alberi tagliati, e quando mancavo il bersaglio erano sassi presi di punta, di taglio, con il guardamano e con il manico; piega drizza e così via. Nonostante tutto la lama ha sempre resistito, qualche volta èsaltata l’estremità della punta, prontamente rifatta da Michele; ma la lama è sempre lì tostissima. Poi ho scoperto che se prendevo la rincorsa ed effettuavo il lancio mentre mi staccavo da terra, veniva fuori un lancio pazzesco.
Il massimo delle mie performances divenne un piatto da 8 metri.
Poi volli provare la penetrazione “estrema”. Piazzai dietro al bersaglio non la solita tavola ma una piastra di ferro da un millimetro recuperata da una cucina anni 50 (tipo corazzata). Bucata con estrema decisione. Per togliermi uno sfizio ho provato a spararci dentro un 38SW con Smith & Wesson ordinanza inglese da 5” di canna, dalla stessa distanza. Ha lasciato il segno ma non è passato. Questo è un Combat Marine Camillus. Andavo orgoglioso delle mie prestazioni, quando trovai uno che se ne intendeva di “combat” e mi disse “è troppo da coglioni lanciarlo e correre il rischio di restare senza l’unica arma disponibile!”
Ci rimasi alla Fantozzi.

Comunque quando lo lanciavo di notte in giardino e mancavo il bersaglio, non mi riusciva difficile ritrovare il coltello perché la lama trattata in superficie al fosforo, faceva una specie di effetto luminoso per un attimo, mettendomi sulla strada giusta, per il recupero.
Fin qui le mie esperienze, poi lo detti da provare a Gaetano Cipriani che allora lavorava per Diana Armi.
Lo autorizzai ad una prova distruttiva ed a raccontare solo la verità.
Sapeva che le specifiche militari Usa prevedevano che, piantato per un terzo della lama, dovesse reggere un uomo completamente equipaggiato, il test venne brillantemente superato sia dal Combat Marine che dal Pilot Survival.
Poi si divertì a tagliare la carrozzeria dei rottami di automobili, ovviamente con successo.
Detto per inciso, il dorso a sega del Pilot Survival è previsto per il taglio degli scatolati di alluminio per uscire dai rottami di aerei ed elicotteri.
Poi venne la prova del taglio del chiodo da carpentiere da 3 mm. di sezione.
Si appoggia la lama del coltello sul chiodo da tagliare e poi gli si sferra sopra una mazzata con un tronco, pietra etc.
Il chiodo venne tagliato di netto senza fare alcun dente al filo della lama.
Cipriani titolò l’articolo “Camillus una leggenda!”
Camillus completa la gamma dei “militari” con il Pocket Utility Knife un coltello tattico multiuso tutto inox dotato di una lama, cacciavite con apribottiglie, lesina, ed apriscatole (è l’unico apriscatole che riesco a far funzionare bene).
Ed ora un po’ di storia.
La “Camillus Cutlery” che prende questo nome dal luogo dove è sita (Camillus N.Y.) è fornitore ufficiale delle forze armate Usa già dalla prima guerra mondiale.
Non è difficile scorgere i Camillus nelle foto d’epoca della I GM, del Vietnam, Libano, Grenada, ed ora nel Golfo; al cinturone o molto spesso a testa in giù attaccato alla parte alta dei “Suspender”.
Escluso il coltello multiuso, che come ho detto è inox, tutti gli altri militari hanno la lama al carbonio trattata al fosforo, impugnatura a dischi di cuoio, fodero in cuoio, a volte rivestito di tessuto mimetico.
 

     
   

IL PUGNALE AMERICANO M3

     

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Il pugnale americano M3 Come modello è sicuramente uno di più noti nella panoplia delle armi bianche corte americane dalla seconda guerra mondiale ad oggi. Identificato con la sigla M3, fu sviluppato nel 1943 e prodotto da una decina di ditte in oltre due milioni e mezzo di esemplari tra il 1943 ed il 1944. Utilizzato dal Pacifico all’Europa, dalla Corea al Viet Nam, questo pugnale ha seguito insomma il soldato americano quasi ovunque siano giunte le stelle e le strisce in questi ultimi cinquanta anni.

     

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La lama dritta è ad un filo e mezzo circa e porta sul lato destro (ad arma verticale con filo in avanti) la scritta U.S. M3 seguita dal nome della ditta produttrice, talvolta anche dalla data 1943. Alcuni esemplari sono marcati invece sulla guardia.
Il manico è realizzato con dischi di cuoio pressato e secondo le specifiche dello Ordnance del dicembre 1942 doveva essere solcato da sei profonde scanalature che però in realtà furono quasi sempre sette o otto ma vi fu anche qualche tipo che non le aveva ed almeno un altro che invece aveva il manico solcato da 19 fitte rigature. Una versione tarda ha il manico in plastica e le parti metalliche fosfatizzate in un caratteristico color nero opaco.
Il pomo, piatto superiormente, era fissato dalla ribattitura del codolo e da due spine passanti.
Il fodero era in cuoio con cinghietta con bottone a pressione per assicurare il pugnale e con cucitura rinforzata da rivetti; all’estremità inferiore, un foro per il passaggio di un correggiolo destinato ad assicurare il tutto alla coscia o alla caviglia.
Venne anche realizzato un fodero (M6) con una protezione all’imboccatura ed una a piastra quadra quasi all’estremità, sul davanti: non ebbe molto successo e gli venne preferito quello in fibra plastificata (poi in plastica) M8 analogo a quello della baionetta M4 ispirata appunto al pugnale M3.
Il fodero M6 presentava anche l’attacco in grosso filo di ferro destinato al cinturone tattico.
L’esemplare che compare nelle immagini è di produzione attuale; potremmo definirlo una «replica» ma in realtà non è così, visto che la nota casa americana Camillus era una di quelle che lo fabbricava durante il secondo conflitto e ne ha solo ripresa la produzione sia pure per il mercato civile, soprattutto collezionistico. Infatti il coltello è praticamente uguale all’originale se si eccettua la presenza di un solo rivetto, anziché due, al pomo. La scritta sulla lama è uguale a quella «vecchia» e sulla faccia superiore del pomo compare anche il piccolo marchio con la granata infiammata tipico dell’Ordnance americano.
Il cuoio del fodero è forse meno spesso ma non tutti erano uguali: dipendeva un po’ dalle partite di cuoio destinate alla fabbricazione.

Lungo complessivamente mm. 293 con lama di 168, spessa mm. 5.  Il Camillus M3 pesa, col fodero, 310 grammi.

     

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A parte questa «nuova generazione», questo pugnale è stato l’ispiratore, oltre che della baionetta M4 destinata alla carabina Ml, anche di pugnali analoghi prodotti in altre nazioni compresa l’Italia che ne produsse una versione con lama dal tipico colore rosso vinaccia (vedi molte baionette per 91/38 e mitra Beretta 38 A) realizzata presso lo A.E.T. (Arsenale Esercito Torino) verso la metà degli anni ‘50.
Una copia scadente dello M3 è stata realizzata in questi ultimi anni anche in Corea.

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Ka-bar

     

 

 

 

 

 

 

 

 

Conoscevo da anni il Ka-Bar e lo ho sempre considerato un Camillus di lusso, (ma non è così: è l’originale in assoluto!) e senza occuparmene troppo lo vendevo di striscio e di rimbalzo.
Quando un bel giorno mi scrive il direttore alle vendite della A.C.P.I. che distribuisce il Ka-Bar nel mondo.
Aveva visto il mio catalogo e mi tirava le orecchie: non c’é traccia del Ka-Bar “una leggenda nel mondo!”.
Bene, adesso importo anche il Ka-Bar e ve lo racconto.
Questa è la storia di uno dei coltelli da combattimento più famosi del mondo.
Se si chiede a qualcuno dei marines che hanno combattuto la seconda guerra mondiale, quale era il coltello a cui affidavano la loro vita, si avrà una sola risposta: il Ka-Bar!
Nel 1941 dopo l’entrata in guerra degli USA, la Ka-Bar sottopose allo United States Marine Corps un suo prototipo di coltello da combattimento ed utilità generica che venne prontamente adottato come arma d’ordinanza dei Marines e poi prodotto su licenza anche dalla Camillus.
Restò in produzione dal 1942 al 1945 e venne distribuito su richiesta anche all’Esercito, alla Marina, alla Guardia Costiera ed ai gruppi di Demolizione Subacquea, a volte “vestito” da Marines, cioè come impresso sulla lama USMC e stampato sul fodero il “CREST”dell’Aquila sul mondo. Abitualmente agli altri corpi veniva dato come lama e fodero anonimi, il marchio definito dal corpo veniva impresso sul guardamano.
Durante gli anni di più duro servizio venne leggermente modificato a seguito dell’esperienza maturata sul terreno: il disco metallico terminale venne raddoppiato di spessore e spinato anziché avvitato.
Poi cessarono i contratti governativi e la Ka-Bar tornò ai coltelli di tutti i giorni.
Ma non i vecchi marines che, durante la guerra di Korea rispolverarono i loro Ka-Bar per passarli a figli ed amici impegnati nel nuovo conflitto.

 

  Mi sono chiesto da dove fosse saltato fuori questo strano nome “KA-BAR”? di sicuro non doveva essere un cognome! allora ho faxato Mr. Reinschreiber chiedendo lumi.
C’è da supporre che quando Mr. WALLACE BROWN nel 1898 fondò la fobbrica a Tidioute in Pennsylvania facesse dei “BOWIE” tipo mannaia che, nella migliore tradizione dei Trapper, servivano ad affrontare e finire gli orsi ( bear) quando l’arma da fuoco diveniva inservibile ( e la fuga sarebbe stata inutile).
KILL-A-BAR (ammazzo l’orso) divenne in slang KA-BAR (gli irsuti trapper non erano certo dei fini linguisti of course! del resto si è mai visto un fine linguista affrontare un orso con un coltello? !).


La Ditta nel 1912 si trasferì ad OLEAN, Stato di New York, e da lì nel 1975 vennero ripescati i piani costruttivi originali dello USMC Fighting And Knife e prodotta una limitatissimo tiratura commemorativa per celebrare i 200 anni del Corpo dei Marines.
Erano splendidi con la lama tirata alla perfezione ed impreziosita dal CREST dei Marines in oro!  Il numero 1 venne dato al Comandante del Corpo che ne fece subito dono al museo dei Marines a Quantico.
La fama del KA-BAR era ancora ben viva e questa limitata edizione andò a ruba e così pure un altra limitata edizione richiesta e sostenuta dalla AMERICAN HISTORICAL FOUNDATION.
Quindi la straripante richiesta, nel ‘76 ripartì in grande stile la riedizione dello originale USMC FIGHTING AND UTILITY KNIFE KA-BAR così come prodotto dal 1942 al 1945.
Costa molto e quindi non è fornito dal Governo USA, ma i Marines che se lo possono permettere se lo pagano volentieri di tasca propria per non essere da meno del padre o del nonno.

Le vicende del Golfo hanno riportato il KA-BAR in zona di guerra e così per il mercato civile è stato realizzato il Commemorativo “PERSIAN GULF DESERT STORM” con lama illustrata e fodero Desert Camo.

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A Proposito di Commemorativi

     

Camillus U.S. Navy MK2 Commemorativo del 50° anniversario dell'attacco a Pearl Harbour (1941-1991). Edizione di lusso con lama blu notte con incisioni e riporti in oro 18 k. Fu realizzato in soli 2.000 esemplari numerati. 

 

 

 

 

 

 

 

PEARL HARBOUR LA COMMEMORAZIONE
(Il 2001 è il 60° anniversario)

E’ di evidenza che non posso trattenermi dal dire la mia su come viene commemorata questa data tragica, perché mi prude la lingua.

Premesso che il famigerato Winston Churchill · WINNY · per gli amici, era perfettamente al corrente dell’attacco (*) e si è ben guardato di avvisare i cugini di oltreoceano per farsi salvare le colonie dallo loro incazzatura, qualcuno (arabi a parte) ha mai trovato nulla da ridire per gli attacchi preventivi con cui gli Israeliani si sono assicurati la sopravvivenza?
Se qualcuno vi stesse strangolando, liberarvi con un bel calcio nei coglioni sarebbe infamia?
I Giapponesi hanno fatto questo (come del resto i Tedeschi, il Duce invece sperava di ottenere gli stessi risultati facendo lo mosca cocchiera di Hitler)
Che l’Asse avesse storicamente le sue buone ragioni è ampliamento dimostrato dal travolgente successo economico di Giappone, Germania ed Italia nel dopoguerra alla faccia dei vincitori del ‘45.
Un Generale USA ha recentemente dichiarato che le Hawaii stanno a galla per merito degli investimenti Giapponesi. Ricorderei per inciso che, mi pare nel 1929, la Società delle Nazioni aveva negato ai Giapponesi lo Status di essere umani come gli altri.
L’industria Giapponese aveva bisogno di materie prime e mercati, i padroni di allora:
Francia, Inghilterra, URSS e USA non volevano mollarli. I musi gialli sono andati a prenderseli nello stesso identico modo in cui i padroni erano diventati padroni.
Concludendo:
una bella pernacchia al · DAY OF INFAMY
(del resto non è degli americani il detto RIGHT OR WRONG FOR MY LANDI = giusto o sbagliato per la mia terra, e non sono sempre loro ad aver fatto un eroe di un figlio di puttana come il generale custer - le maiuscole non le metto volutamente -; e gli inermi villaggi di pellerossa chi li massacrava all’alba e senza nessun preavviso?! Chi è senza peccato scagli la prima pietra(perché sono più pratici di bibbia che di vangelo ?) invece hanno gettato l’atomica!

PER ESSERI CHIARI:
o si coglie l’occasione per commemorare tutte indistintamente le vittime della storia e della Follia assassina, ciascuna facendo ammenda dei propri peccati, o si sta pudoratamente zitti.  
Ma allora l’enorme business delle commemorazioni2 I

E allora sotto coi gadget, tricche e ballacche, che il popolo bue ingolla di tutto e paga felice.
Le infamie sono state semmai i massacri dei civili cinesi baionettati senza pietà da samurai indegni; i prigionieri polacchi massacrati dall’armata rossa; i sopravissuti della Bismark abbandonati in Atlantico (per ordine di Winny per vendicare lo Hood) con la scusa dei sommergibili Tedeschi (di cui non c’era l’ombra); l’inutile strage di via Rasella ( vero capolavoro di ardimento militare) con fosse Ardeatine al seguito, i regolamenti di conti rossi e neri durante la guerra civile e dopo, nonché il fantastico show di piazzale Loreto; lo sterminio degli ebrei ad opera dei nazi; e dulcis in fundo Hiroshima e Nagasaki ad opero dei giustizieri di Norimberga.
Ragazzi che farsa il diritto dei vincitori!

Vae Victis e così sia!  
(vae victis = guai ai vinti)  

 

(*) in realtà successe di molto peggio, ma allora nel 1992  non lo sapevo ancora !  nel 2000 è stato  pubblicato "IL GIORNO DELL'INGANNO "  di robert b. stinnett  che, documenti alla mano , usciti dagli archivi di stato TOP  SECRET , per merito dello FREEDOM  OF  INFORMATION  ACT dovuta allo scomparso senatore della California JOHN  MOSS  ovviamente DEMOCRATICO . gli americani , già prima del '41 intercettavano e traducevano TUTTE  LE  COMUNICAZIONI in codice pentanumerico dei giapponesi. una parte di queste, per ordine del presidente J.CARTER  uscirono nel 1979. la N.S.A. (agenzia di sicurezza nazionale usa) accampando motivi di sicurezza nazionale ,  ne impedì , all'autore , la consultazione  fino al 1987. alla fine lo concesse, ma solo a lui. i documenti non sono ancora di pubblica consultazione !  quindi , venendo al dunque. è dimostrato documentalmente che il presidente USA F.D.ROOSEVELT  ha deliberatamente provocato i giapponesi  affinchè  sferrassero un attacco per primi, ha seguito passo passo tutto lo sviluppo degli eventi e sapeva esattamente giorno, luogo ed ora dell'attacco. non solo non ne ha deliberatamente informato l'ammiraglio H.E.KIMMEL ,ma gli ha vietato di togliere la flotta da PEARL HABOUR nonostante questi lo richiedesse con insistenza. fece solo traslocare le unità più recenti , che evidentemente gli seccava farsi colare a picco.  quindi ROOSEVELT  è  stato direttamente responsabile della morte di 2273  militari e civili e del ferimeto di altri 1119 pur di scatenare la guerra nel Pacifico , con tutti i morti che ne conseguirono , ed assicurare il dominio  economico planetario  agli USA  , altro che le stronzate dei film commemorativi e le immonde balle sulla libertà.  l'11 setembre 2001 , mi sono detto, vuoi vedere che le torri se le sono spianate da soli ?  oggi  20 maggio 2002  sui giornali si comincia a dire che qualcosa si sapeva. forse fra 50 anni sapremo la verità. intanto è partito il programma dell'oleodotto che attraverserà l'afganistan, notizia di ieri. indovinate chi lo costruirà e lo userà ? alle TWIN  TOWERS  quanti sono stati i morti ?  5.000 ?  scommetti che in percentuale  valgono quasi quelli del '41 ? 
 

     
     
   

Baionetta per AK47
e coltello derivato

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Vicino al Camillus ho pensato di inserire quello che è stato fino ad oggi il suo più diretto antagonista e cioè la baionetta per il Kalashni­kov, nel caso lo AK 74, quindi ecco a voi:
Baionetta per AK 74 e coltello derivato.
Quella degli oggetti militari sarà sicuramente una mania da cui sono affetto, e con me tutti i miei clienti; resta il fatto che abitualmente tutto ciò che è militare è caratterizzato dai seguenti pregi: qualità dei materiali, funzionalità ed effi­cacia, rapporto prezzo, qualità estremamente favorevole spe­cialmente se si tratta di mate­riale in eccedenza “Surplus”, abbandonato o dismesso. E quest’ultimo è proprio il nostro caso. La recente “rivoluzione” che ha interessato i paesi dell’est Europa ha lasciato sul terreno, ormai inutilizzato, una certa quantità di materiale bellico, fra cui le baionette dei Kalashnikov AK 74.
E’ un’arma estremamente spartana e funzionale, sicuramente non affetta da gigantismo tipo la M9 Usa, che per peso e dimensioni è più a misura di Rambo che non di comune mortale. Non bisogna dimenticare infatti che l’arma di bell’aspetto e buon peso deve poi essere anche portata addosso per una tale quantità di tempo da far odiare ogni grammo di troppo.

 

 

 

E veniamo a noi.
Ho recuperato una certa quantità di baionette per AK 74 che propongo ai miei clienti in due versioni.

  • Baionetta in versione originale per i collezionisti muniti di porto d’anni o disposti a farsi il nulla osta di PS per l’acquisto.  

  • Coltello (in libera vendita) derivato dalla baionetta mediante asportazione dell’anello di aggancio al fucile.

L’attrezzo ha lunghezza totale di centimetri 27,5 per un peso complessivo di 450 grammi (col fodero metallico).
La lama di acciaio inox è lunga 15 centimetri con uno spessore di 3,5 millimetri e larga 29,5 mm.
Il dorso della lama è seghettato e particolarmente utile per tagliare cavi in tensione sia sintetici che in fibra naturale, blocchi di ghiaccio, legno e leggere lamine in metallo. Mi dicono che questa particolarità del dorso sia stata introdotta per primi dai russi che hanno subito impostato la baionetta più come strumento da sopravvivenza che come arma.
Idea successivamente ripresa in Usa con la M9.
L’apposito occhiello ad incastro, consente di unire la lama al fodero e utilizzare il tutto come tagliafili.
Così congegnata taglia agevolmente un filo di ferro di 2 millimetri anche ritorto doppio.
Ed ora veniamo ad una caratteristica particolarmente interessante.
Si può utilizzare il tutto anche per tagliare fili sotto tensione. Infatti il fodero è dotato di apposita impugnatura in gomma, mentre il manico della baionetta è tutto ricoperto in materiale sintetico, quindi l’insieme risulta isolato fino, mi dicono autorevoli fonti, a 1.500 volts; in caso di tensio­ni superiori il tutto - è autoprotetto, infatti in questo caso il manico in plastica salta, allontanando automaticamente la mano dell’utilizzatore.
Quando non ci si cimenta in imprese elettrizzanti, e non si vuol perdere il coltello, risulta estremamente utile un apposito correggiolo in cuoio che corre dalla testa dell’impugnatura all’elsa. La quale elsa, detto per inciso, è di ottimo acciaio, e ben lo sa chi, qui da noi deve tagliare gli anelli. Concludendo direi: tanto coltello - poca lira.